Gaia Fugazza

Libere di esprimerci

È un’artista italiana che vive e lavora a Londra. GAIA FUGAZZA ha un consiglio per tutte le donne che desiderano cimentarsi con la creatività: ascoltare quel desiderio e perseverare.

di Cristina Manfredi

«Me lo fai leggere il pezzo prima di pubblicarlo? Sai, è di me che non mi fido, non di te». Gaia Fugazza, artista e performer lombarda, 33 anni e due figli che cresce insieme al suo compagno.

Si è diplomata all’Accademia delle Belle Arti di Brera, da lì ha fatto tappa per qualche anno a Parigi, prima di trasferirsi per amore a Londra, sette anni fa. Se le chiedi di definire l’autenticità, crea velocissimi cortocircuiti culturali di cui, a torto, poi dubita.

Senza rendersi conto che in quella richiesta finale c’è la risposta, perché ci vuole coraggio vero nel mettersi in discussione.

Come hai capito che l’arte era la strada giusta per essere fedele a te stessa?

«Ho sempre saputo di non poter fare altro. Il mio è un lavoro difficile, che ti costringe a una continua introspezione, a lunghi momenti solitari, a grandi attese e al rischio di insuccessi che inevitabilmente si ripercuotono anche sulla tua vita personale.

Sin da ragazza però la mia famiglia mi ha lasciata libera di vivere come mi sentivo».

Cosa suggerisci a una donna che si affaccia oggi nel mondo dell’arte?

«Di ascoltare la propria esigenza di esprimersi. Le mostre per me sono il modo per riflettere, ma anche un mezzo di resistenza, ciò che mi permette di tollerare, per esempio, il dolore di vivere troppo in spazi chiusi e troppo poco a contatto con le piante e gli animali. E aggiungo anche di non lasciarsi scoraggiare dal fatto che magari a lungo non si guadagna niente. Io ho fatto mille lavori e ho speso il meno possibile, ma non ho mai smesso di cercare di imparare, collaborando con altri artisti».

E su cosa invece dovrebbero riflettere oggi le donne in generale?

«Sul proprio corpo e su come storicamente si sia cercato di controllarlo e punirlo, anziché educarsi alla consapevolezza di sé. Ho fatto un lavoro in cui invitavo il pubblico a tenere in bocca dei calchi di pillole contraccettive. Il trattenere queste sculture sulla lingua era uno strumento per portare le persone a un atto di maggiore presenza di sé. Non sarebbe accaduto nulla se le avessero ingoiate, però forse così potranno prendere coscienza del proprio fisico e del concetto di vicinanza collettiva. 

QUOTES PER SOCIAL

 

«Vorrei che le donne riflettessero sul proprio corpo e su come storicamente si sia cercato di controllarlo e punirlo, anziché educarsi alla consapevolezza di sé». 

«Il mio è un lavoro difficile, che ti costringe a una continua introspezione, a lunghi momenti solitari, a grandi attese e al rischio di insuccessi. Ma ho sempre saputo che non avrei potuto fare altro».

«È fondamentale ascoltare la propria esigenza di esprimersi. L’arte è un modo attraverso cui riflettere, ma anche un mezzo di resistenza».